1. Giovanni Gozzadini
Giovanni Gozzadini (Bologna 1810-1887) rappresenta una delle figure di spicco dell’archeologia bolognese e il suo nome rimane indissolubilmente legato ad alcuni ritrovamenti che sono entrati a far parte di diritto della storia archeologica nazionale.
Discendente di una delle maggiori e più illustri famiglie della città, dopo studi giovanili a carattere storico e archeologico, in virtù del lignaggio egli riveste importanti cariche politiche ed anima, insieme alla fedele e intelligente compagna – la cugina Maria Teresa Serego Allighieri – uno dei circoli culturali più in vista, verso cui convergono letterati, artisti, patrioti.
La scoperta della necropoli di Caselle ne decreta l’ingresso ufficiale nel campo delle ricerche, ingresso in seguito al quale egli dà alle stampe alcune fondamentali pubblicazioni. Diviene anche Presidente della Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna, istituita nel 1860, mentre la conoscenza con la famiglia Aria gli consente di intraprendere campagne di scavo nel grande centro etrusco di Marzabotto.
Altre cariche pubbliche si aggiungono in seguito, come la direzione del Museo Civico Archeologico, nato dalla fusione delle collezioni universitarie e comunali, e l'Ispettorato agli Scavi e Monumenti presso la Direzione Generale dei Musei e Scavi di Antichità.
Nel corso della sua lunga attività lascia numerosissime opere scientifiche, che danno conto della molteplicità di scoperte che si andavano effettuando in quegli anni cruciali a Bologna e nel territorio circostante.
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2. La Tomba n.25
La sepoltura n. 25, con la sua fastosità e l'altissimo numero di suppellettili (104 unità), richiama magnificamente l'immagine di una dama locale che volle lasciare il mondo terreno fornita di ogni bendidio e di tutti quegli "indicatori" che, lei vivente, ne avevano additato agli occhi dei conterranei la facoltosità e il lignaggio.
La sua sepoltura, insieme a quella della defunta n. 26 probabilmente a lei legata da vincoli di consanguineità, si distingue nettamente nel panorama delle tombe vicine per la vastità del corredo e per le dimensioni della fossa, forse segnalata all’esterno da una pietra tombale.
Più ancora del vasellame da banchetto, presente con molti e svariati recipienti, anche metallici, colpiscono la copiosità e l'assortimento degli ornamenti personali e dei beni di lusso. La parure di gioielli conta ad esempio più di trenta fibule, caratterizzate da parecchie e diverse fogge e dall'uso di materiali anche alternativi al bronzo.
Fra i pezzi solo metallici vi sono tipi a navicella o a sanguisuga con l'arco decorato da ornati geometrici o sormontato da figurette di galletti ed anatrelle. Fantasiosissime sono poi le fibule il cui arco è rivestito da perline di vetro colorato, giallo, blu, bruno, da noccioli d'ambra, da grossi vaghi in osso con castoni in ambra. Davvero particolare, infine, appare la fibula formata da un grosso nocciolo di pasta vitrea nera percorsa da zig-zag e cerchielli gialli.
Superbamente raffinato per la sua semplicità, unita al fascino esotico del materiale, risulta anche il bracciale d'avorio ad anello rigido.
Un posto di assoluto rilievo meritano gli attrezzi per la filatura che raccolgono, insieme ai più consueti rocchetti e fusaiole in terracotta, oggetti solitamente rari e preziosi come un fuso e due conocchie in bronzo. Vi si uniscono una fusaiola di pasta vitrea e una conocchia con il fusto tutto decorato da elementi in osso, la cui fragilità e scarsa funzionalità ne dichiarano un uso assolutamente non pratico: essendo assai più simile ad uno scettro, il manufatto ha valore simbolico come allusione all'arte della filatura e al controllo/cura dei lavori femminili che la "padrona di casa" esercitava in quanto appartenente alla classe sociale più elevata.
Alla stessa funzione sono certamente collegati i due specialissimi reperti conosciuti come tintinnabuli, con il relativo mazzuolo. Assodato che si tratta di oggetti destinati ad emettere suoni a mo' di piccoli gong, la loro interpretazione non è però chiara. Il fatto che siano spesso presenti nei corredi femminili più prestigiosi associati ad oggetti per la filatura e che uno di questi esemplari raffiguri addirittura scene di una dama che fila e tesse in compagnia delle ancelle, li collega direttamente a tali pratiche muliebri, di cui forse dovevano scandire ritualmente i tempi.
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3. La Stele del Guerriero
Le stele costituivano segnacoli del tutto eccezionali, presenti in pochissime tombe aristocratiche di Bologna e, ancor più raramente nel comprensorio, ove se ne contano in tutto sei. Essa era quindi stata destinata a perpetuare in eterno la memoria di un notabile locale, forse un affarista, la cui elevata condizione economica non è difficile correlare con i transiti commerciali attraverso la via di vallata.
Più ad oriente, in località Campana, il progressivo avanzare dei fronti di cava ha causato a più riprese, sin dagli anni Settanta, l’intercettazione, la manomissione e la dispersione di altre significative testimonianze. In tutto lo sviluppo del Villanoviano, la generale adesione al rituale della cremazione conosce scarse eccezioni.
Le inumazioni sono infatti abbastanza isolate e a causa della povertà dei corredi si tende solitamente ad attribuirle ad individui di ceto servile o comunque di rango inferiore. Ciò non esclude che presso alcuni gruppi familiari, forse anche di origine non locale, l'inumazione fosse praticata come eredità di costumanze e tradizioni culturali proprie, magari di antichissima data.
I relitti di inumazioni sconvolte di piena età villanoviana segnalati nell'invaso delle Cave SAFRA paiono circostanziare una di queste situazioni. In particolare, i bracciali in bronzo che una defunta sepolta sullo scorcio del VIII-primi anni del VII sec. a.C. recava ancora infilati negli arti superiori caratterizzano, in alcune necropoli bolognesi, ricche tombe femminili coeve.
Infine una sepoltura, ancora una volta femminile, da Cava Tomba Forella (ex Cave SAPABA) con l’ossuario e il corredo in cui sono presenti graziose suppellettili da mensa racchiuse in un grande contenitore fittile, ci riporta ai momenti finali del VII sec. (Villanoviano IV B2) quando la cultura villanoviana, ormai al suo ultimo apice, adotta questa peculiare modalità di protezione, costituita da un dolio sigillato all’imboccatura da una lastra di pietra, a fungere da custodia dell’intera tomba.
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