1. Cava a Filo
Intorno agli anni ’60, durante i lavori estrattivi della Cava a Filo - così chiamata per il taglio industriale del gesso in lastre praticato con un filo diamantato elicoidale - presso Monte Castello, venne portato alla luce un antico giacimento che appariva come una frattura verticale di origine carsica, entro la quale era confluita per dilavamento dei versanti e per caduta diretta una serie di faune in buono stato di conservazione, risalenti alle fasi finali dell’ultimo periodo glaciale.
Una prima segnalazione di reperti fossili all’interno della cavità risale al 1961, ma il principale lotto di materiali fu recuperato nel corso del 1966 in occasione di una campagna di scavo condotta dall’Istituto Italiano di Speleologia e dal Gruppo Speleologico Bolognese - G.S.B, con la direzione scientifica di Giancarlo Pasini. A partire dal 1995 una sistematica opera di revisione delle collezioni estratte, edite ed inedite, curata dal Dipartimento di Biologia ed Evoluzione dell’Università di Ferrara, ha condotto alla definitiva determinazione tassonomica di tutte le specie presenti nel deposito.
Il deposito di sedimenti alto circa 8 m che riempivano tale cavità conteneva abbondanti quantità di ossa, in prevalenza di bisonte e megacero. Il loro accumulo è dovuto, in parte, alla caduta accidentale di animali vivi o al trasporto, causato dalle acque di superficie, di carcasse o porzioni di esemplari morti.
I reperti di bisonte rappresentano il più ricco insieme presente in Italia e hanno permesso di compilare uno scheletro quasi completo di un esemplare di taglia media, oggi esposto in museo.
Negli strati inferiori dell’inghiottitoio, riferibili alle fasi finali dell’ultimo periodo glaciale (circa 18.000 anni fa), accanto alle ossa di questi due grandi erbivori, si riconoscono: resti di asino selvatico, carnivori (lupo, volpe), roditori (marmotta, ghiro e arvicola), lagomorfi (lepre variabile) e uccelli (aquila reale, fagiano di monte). Negli strati superiori, che si sono depositati in un periodo più recente, dominano faune di ambiente boschivo (tasso, cinghiale, capriolo).
Le nuove indagini geopaleontologiche, finalizzate alla ricerca della parte residua del giacimento, hanno avuto inizio nel mese di settembre 2006. Alla lunga opera di disostruzione, in gran parte manuale, dei detriti che costipavano il giacimento sono seguite, a partire dal 2007, le prospezioni di scavo che hanno permesso di portare in luce parte di ciò che rimaneva della porzione basale del giacimento.
L’asportazione del sedimento dalla parete W-NW ha così evidenziato una parte di cavità carsica particolarmente interessante. Qui sono state individuate zone ad alta densità di reperti. I resti fossili riferibili a vertebrati di grandi e piccole dimensioni si sono presentati sovrapposti l’uno all’altro in maniera caotica e concentrati in “tasche”della sequenza stratigrafica.
Gli oltre 500 nuovi resti recuperati, unitamente alle analisi radiometriche e alle indagini stratigrafiche in atto, permetteranno di gettare una nuova luce su questo prezioso ed unico giacimento. Accanto ai mammiferi di grande e media taglia spiccano per quantità i micromammiferi (roditori e insettivori) e l’avifauna (più di 150 esemplari in corso di determinazione).
Alcuni reperti appartengono ad uno stesso animale come, ad esempio, il cranio e le due emimandibole di marmotta e alcune falangi e vertebre di bisonte. I fossili delle tasche erosive, trovati in posizione sub-verticale, sembrano confermare che i processi erosivi di dilavamento sono i principali fattori degli accumuli ossiferi.
Nonostante alcune incongruenze interpretative scaturite dalle prime indagini non assicurino una precisa collocazione cronologica del deposito, alla luce delle attuali e ancora preliminari conoscenze si potrebbe comunque ipotizzarne la correlazione con gli stadio isotopico 2 (25.000-11.500 anni da oggi).
Nel mese di settembre 2006, a quasi cinquant’anni di distanza dalle ultime indagini promosse dall’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università di Bologna, sono stati ripresi gli scavi nel deposito paleontologico “Cava a Filo”. La raccolta dei dati nel decennio di ricerche intercorso da allora ha ulteriormente evidenziato la straordinaria importanza scientifica del sito: l’elevato contenuto paleobotanico e faunistico e la sua ricostruzione genetico-sedimentaria costituiscono oggi la base per una nuova e dinamica rilettura crono-stratigrafica di eventi riferiti all’Ultimo Massimo Glaciale (ca. 24.000-18.000 anni da oggi) e al successivo Tardoglaciale, elevando il giacimento della Cava a Filo a imprescindibile riferimento nazionale e internazionale.
Il progetto
Da predatore ad amico dell'uomo. Nuovo percorso museale sul lupo ed altri fossili della Cava Filo
è stato realizzato con il contributo della Regione Emilia-Romagna - Piano Museale 2022
2. Septarie
Tali depositi non sono autoctoni, ovvero non si rinvengono nel luogo in cui si sono sedimentati, ma provengono dai profondi fondali dello scomparso Oceano ligure-piemontese (distante almeno 200 km!): questa coltre ha iniziato a spostarsi verso l'area dell'attuale Adriatico a partire da circa 30 milioni di anni fa, a seguito di immani spinte tettoniche con direzione ovest-est, arrestandosi nella nostra regione lungo l'attuale vallata del Sillaro, che costituisce una importante lineazione tettonica.
Fra gli aspetti mineralogici più noti delle Argille Scagliose vi sono le septarie, forme concrezionali calcareo-argillose prevalentemente sferoidali il cui interno presenta numerose fessurazioni ("setti") che confluiscono in una serie di cavità spesso ricolme di cristalli, prevalentemente calcite ma anche aragonite, baritina, quarzo, gesso e pirite.
Le septarie non sono esclusive delle Argille Scagliose appenniniche ma hanno una vasta diffusione geografica e si sono, quindi, formate in ere geologiche diverse. La loro genesi, piuttosto complessa, è ancora oggetto di studio. L’ipotesi più accreditata sostiene che esse si formino a partire da nuclei argillosi che in una prima fase “umida” assumono plasticità e in una successiva fase "secca" si contraggono e si screpolano, formando i setti e le cavità. Queste vengono riempite poi dai minerali, trasportati dall’acqua, presenti nel terreno.
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